#1 GUIDA MICIPORTO: Roma e l'Ansa Barocca
Il seicento e la nascita del Barocco e due nuove guide per voi
Finalmente ci siamo…
L’avventura nella nostra nuova casa Miciporto comincia oggi.
Come state? Come procede con questa estate che non vuole finire mai?…
Io pienah rasa, a Roma ci sono ancora 30 gradi e riuscire a mettere una giacca confesso non mi dispiacerebbe, sentire quel brividino di freddo un po’ mi comincia a mancare, ma tant’è, ci adegueremo.
Sorvoliamo il cambiamento climatico, e veniamo al dunque.
Cosa ho preparato per voi?
Questa prima newsletter (che come vi ho anticipato nella mail di presentazione solo per questa volta includerà sia la parte dei contenuti gratuiti sia la Guida a pagamento) l’ho voluta dedicare ad un secolo a me molto caro, il seicento, nello specifico il seicento a Roma dove la corrente Barocca nasce e prende forma.
Vi spiego come è stata strutturata questa newsletter in modo che le prossime volte tutto sarà più chiaro.
Nella prima parte troverete due articoli di approfondimento, relativi al tema del Barocco Romano ma non presenti all’interno della guida “Roma Ansa Barocca” .
Questa è la parte che vi arriverà intorno al 15 di ogni mese e sarà sempre gratuita.
Nel corso del tempo si amplierà con rubriche, interviste, podcast, collaborazioni e tutto quello che reputerò interessante da condividere con voi. Sempre gratuitamente troverete una rubrica con info utili per mostre che si svolgono durante il mese in corso.
Alla fine degli articoli di approfondimento solo gli abbonati (mensili o annuali) potranno scaricare la guida del mese “Roma Ansa Barocca” e la prima guida che ho dedicato a Roma: “Roma Nuda”. Ho pensato che sarebbe stato carino averle tutte e due visto che quando l’avevo inviata la prima volta molti e molte di voi non l’hanno ricevuta.
La parte della guida a pagamento dalla prossima volta vi arriverà intorno alla fine del mese.
Ricapitolando, ogni mese riceverete due newsletter (tranne casi eccezionali):
La prima intorno al 15 di ogni mese con approfondimenti gratuiti.
La seconda intorno alla fine del mese con la guida a pagamento.
Se non hai fatto l’iscrizione puoi farlo da questo bottone:
Fatta questa doverosa premessa, veniamo al tema:
il seicento e l’ansa Barocca di Roma.
Questo secolo è stato quello che ha forgiato la Roma iconica dei grandi geni come: Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini, Pietro da Cortona e altri illustri artisti. Loro sono state le menti attraverso le quali, tutta la Roma che si stava venendo a creare ha preso forma dando vita all’Ansa Barocca.
Questo termine viene utilizzato per descrivere la caratteristica architettonica di Roma e dei suoi quartieri storici quelli che conosciamo oggi e immaginiamo siano sempre stati così; ma no… Spoiler, Roma fino a tutto metà del Cinquecento era una città ancora con tanta campagna e tanti vuoti e il centro storico come lo vediamo oggi praticamente non esisteva.
L’Ansa Barocca è quel percorso tortuoso e sinuoso fatto di strade che si sono formate proprio nell’ansa del Tevere, ovvero la curva che il fiume crea tra Castel San’Angelo e la Basilica di San Pietro arrivando (come estensione immaginaria) fino al Palazzo del Quirinale. Strade, che si sono circondate di edifici barocchi uniti a quelli rinascimentali, costruiti man mano che venivano create le grandi arterie di collegamento ai vari punti strategici che dovevano unire Roma al Vaticano.
In questa guida troverete questa trasformazione nella quale è stato fondamentale il genio di due grandi artisti: Bernini e Borromini. Entrerete nei luoghi che li hanno resi celebri, nelle loro opere e scoprirete posti che pochi conoscono, ma custodiscono i loro primi lavori quelli che già facevano intuire la loro capacità.
Negli approfondimenti, ho deciso di parlarvi di una donna - artista straordinaria, Artemisia Gentileschi, e di raccontarvi la prima delusione di Gian Lorenzo Bernini, che diciamoci la verità bravo, ma un po’ pieno di se e una piccola delusione la poteva anche accettare.
Detto questo, vi lascio alla lettura degli articoli, come sempre un po’ prolissi, ma lo sapete le cose a me piace raccontarvele bene.
“VERITÀ SVELATA DAL TEMPO”
Fun Fact: Anche Bernini non era infallibile…
C’è stato un momento nella vita di Gian Lorenzo Bernini in cui tutte le sue certezze sono crollate.
Come spesso accade nell’arte gli artisti ce lo raccontano con le loro opere e lui lo ha fatto attraverso un gruppo scultoreo (o meglio quello che sarebbe dovuto diventarlo), “La verità svelata dal tempo”.
Quest’opera fu eseguita da Gian Lorenzo Bernini tra il 1646 e il 1652, è l’unica sua opera eseguita senza commissione che realizza per se, ma poi, da bravo imprenditore, prova a venderla. Ne è la prova, una lettere di Paolo Giordano II Orsini, duca di Bracciano, indirizzata al cardinale Mazzarino, dove l’opera è descritta in maniera minuziosa e si deduce che l’intento fosse quello di venderla al cardinale.
Cominciò a lavorare al gruppo scultoreo subito dopo la morte del suo protettore Urbano VIII Barberini, intorno al 1646, riuscirà a terminare sei anni dopo, solamente la figura della Verità, la seconda parte del gruppo, quella rappresentante il Tempo, non fù mai realizzata.
Ma perché così tanto bisogno di scolpire un tema come la Verità?
Quelli erano anni nei quali Bernini stava affrontando forse il periodo più complicato della sua carriera.
Papa Urbano VIII gli aveva chiesto di risolvere il problema strutturale delle torri campanarie pensate da Carlo Maderno per la Basilica di San Pietro, ma il suo progetto non si rivelò risolutivo e non risolse il problema. Anzi, una delle due torri provocò delle crepe alla facciata e alla fine Bernini fu costretto (a sue spese) a farla abbattere.
Ricevette numerose critiche dai suoi colleghi e questa umiliazione non riuscì mai a tollerarla, del resto lui fino a quel momento era stato considerato il più grande di tutti, il più idolatrato, il più pagato.
Inoltre i rapporti con il nuovo papa Innocenzo X Pamphilj non erano idilliaci; pare, non gli avesse mai perdonato di avere intessuto proficui rapporti lavorativi con esponenti della famiglia dei Borghese, nemici politici dei Pamphilj, e sopratutto aveva concesso i maggiori incarichi al suo acerrimo rivale Francesco Borromini.
La sua frustrazione la sfogò proprio rifugiandosi nell’arte e tornado a scolpire il marmo, suo materiale prediletto. Quest’opera doveva essere un riscatto verso le ingiustizie subite e il crollo della sua reputazione.
Comincia a scolpire proprio la Verità, che prende le sembianze di una giovane donna nuda, dal volto sorridente, con lo sguardo rivolto verso l’infinito. Un manto, le copre solo il pube, tra le mani ha un disco solare con al centro un volto umano, simbolo del potere della verità di far luce sulle cose. Le sue vesti vengono trattenute dall’alto, lasciandola completamente nuda, questo ci fa anche intuire dove il Bernini volesse posizionare il Tempo. Le dimensioni imponenti della statua rafforzano l’importanza del concetto allegorico: l’immagine della Verità sembra elevarsi al di sopra della pianura dell’esistenza umana. La Verità è seduta su una roccia: tiene il piede sinistro sopra un globo.
Diversi disegni e schizzi preliminari ci hanno permesso di immaginare come l’autore vedeva la sua futura creazione, lui stesso ha dato alla statua il nome La Verità, figlia del Tempo.
La tecnica di realizzazione che Gian Lorenzo Bernini utilizza su questa scultura è sublime; l’incarnato viene realizzato attraverso materiali abrasivi che sembrano farle emanare luce.
Perché non terminò mai l’opera?
Molto semplice, un genio come Bernini non poteva restare troppo tempo nell’ombra e dopo soli due anni, tornò in auge presso la corte papale e sopraffatto dagli incarichi, non riuscì a terminare l'opera.
Al momento del suo decesso, il grande blocco di marmo, destinato a diventare il Tempo, fu venduto dagli eredi.
La statua della Verità, invece, fu legata da Bernini tramite un lascito che la avrebbe tramandata ai suoi primi figli maschi, vietandone la vendita. L’opera, originariamente un tentativo di redenzione personale e di auspicio per una futura riabilitazione della memoria del suo lavoro, fu realizzata da Bernini per trasmettere un insegnamento morale ai suoi discendenti: il tempo rende giustizia delle ingiustizie subite.
Rimase conservata nella dimora di famiglia in via della Mercede fino al 1858, per poi essere spostata in quella di via del Corso dove rimase fino al 1924. In quell'anno fu collocata in deposito dagli eredi presso la Galleria Borghese, dalla quale fu acquistata nel 1957.
ARTEMISIA GENTILESCHI
La prima femminista della Storia, donna protagonista del Barocco
Immaginate un brulicare di persone, voci che si odono ovunque, gente affacciata alle finestre che danno sulle strade degli stretti vicoli, artisti fuori dalle loro botteghe intenti ad esporre i loro lavori, a dipingere, a scolpire.
Siamo a via Margutta, la strada di Roma che nel seicento era la strada degli artisti e degli artigiani e non molto lontano da qui, in via della Croce, aveva la sua ultima casa bottega Orazio Gentileschi, famoso pittore romano (all’epoca impegnato a dipingere le stanze del Quirinale) amico di Caravaggio.
È in questi vicoli, tra il chiacchiericcio e il via vai di gente che popolava il quartiere, che nel 1593 nasce Artemisia Gentileschi la primogenita di Orazio, quella che diventerà una delle artiste donne più conosciute e apprezzate nel mondo dell’arte.
Artemisia fin da bambina, si appassiona all’arte della pittura e il padre che ne intuisce le potenzialità e il forte talento, la istruisce tramandandogli tutte le sue conoscenze. Impara presto come preparare le tele, come mischiare i colori, come utilizzare i vari pennelli. In un modo, quello del seicento, dove le donne non avevano molte possibilità di emergere e non potevano accedere alle scuole d’arte e alle accademie, Artemisia riuscirà a farsi spazio, diventando una delle pittrici più ricercate delle corti Europee.
Da piccola viene a contatto con Michelangelo Merisi, il Caravaggio, che era solito frequentare la bottega del padre; ammira le sue opere sopratutto quelle che aveva realizzato per la Cappella Contarelli in San Luigi dei Francesi (un ciclo di tre tele dedicate alla vita di San Matteo) e viene a contatto con la sua tecnica, che la ispirerà per tutta la sua carriera.
Da quelle opere, Artemisia, trae lo spunto per quello che diventerà il segno distintivo della sua arte; la finezza del tratto, il gusto per il colore, i forti giochi di luce e ombra, e come per Caravaggio l’utilizzo di modelli e modelle reali presi dal popolo, che conferiranno ai suoi lavori ancora più drammaticità e veridicità.
La sua arte è caratterizzata da una forte enfasi sulla rappresentazione dei personaggi femminili e una notevole abilità nel dipingere scene di forte groviglio interiore e intensità emotiva. Nei dipinti di Artemisia Gentileschi, saranno presenti tutti quegli elementi che renderanno la sua opera pionieristica nell’arte barocca.
Il primo dipinto conosciuto di Artemisia è la tela “Susanna e i Vecchioni” realizzata quando aveva solo 17 anni. Quest’opera è datata intorno al 1610 ed è un esempio precoce del suo stile e della sua abilità nel rappresentare scene crude, reali, ma che vede preponderante ancora l’influenza degli insegnamenti paterni.
“Susanna e i Vecchioni” raffigura una scena tratta dalla Bibbia, in cui la giovane Susanna è accusata ingiustamente di adulterio da due anziani uomini della sua comunità. Nel dipinto, Artemisia cattura la tensione emotiva della situazione e l'angoscia di Susanna mentre lotta per difendere la sua innocenza. La luce e l’ombra sono utilizzate in modo efficace per mettere in risalto i personaggi e creare il senso di dramma. Questo dipinto è stato un punto di partenza significativo per la sua carriera e ha contribuito a posizionarla come pittrice di talento con una predilezione alla rappresentazione di figure femminili in contesti difficili. I tratti drammatici di questa opera prima, diventeranno ancora più intensi e ferali nelle opere successive, dopo un evento che condizionerà per sempre la sua vita.
Era il 1611 quando Orazio, decide che la giovane ragazza dovesse imparare meglio la tecnica della prospettiva e da mandato al suo amico Agostino Tassi di darle lezioni.
Il Tassi però, si infatua subito di Artemisia (che all’epoca non aveva compiuto ancora 18 anni) dapprima facendo apprezzamenti e dicendole che la voleva sposare, ma poi, quando lei lo rifiuta, lui la violenta.
Orazio si infuria e chiede immediatamente un matrimonio riparatore (come da usanza per l’epoca) all’uomo di cui si era fidato e che reputava un suo amico. Agostino i primi mesi dopo l’accaduto prende tempo per evitare la denuncia, illudendo Artemisia che il matrimonio ci sarebbe stato, ma successivamente si scoprirà che questo non sarebbe mai potuto accadere essendo lui, già sposato.
Artemisia ne esce devastata, umiliata e destabilizzata, violata nella sua reputazione e privata della sua verginità. Orazio decide così nella primavera del 1612 di scrivere alla corte papale una supplica in cui accusa Tassi di violenza sulla figlia.
Cominciano processi durissimi, nei quali le parole e la condotta della donna vengono continuamente messe in discussione da false testimonianze e da dicerie sul suo conto. Artemisia subisce anche la tortura della sibilla, una tecnica che consisteva nel legare con delle corde le dita del testimone e tirarle con forza in modo da indurlo a dire la verità; questa pratica poteva portare anche alla perdita delle dita, conseguenza disastrosa per una pittrice. Ma questo non la fece mai crollare, riuscendo sempre a mantenere la propria posizione di disprezzo verso l’uomo che le aveva tolto la dignità, ottenendo alla fine la sua vittoria.
I documenti relativi al processo giunti fino a noi, testimoniano la forte personalità della giovane donna di combattere per i propri diritti, in un mondo totalmente improntato sul potere maschile, Artemisia riesce a farsi valere con determinazione e caparbietà. Questo in tempi recenti, l’ha portata ad essere considerata la prima “femminista” della storia.
Il tassi fu condannato all’esilio ma di fatto non scontò mai la pena: il giudice lo aveva messo di fronte a un bivio, ovvero o cinque anni di lavori forzati o il bando da Roma; lui scelse il bando, ma rimase a Roma fino all’aprile 1613, quando riuscì a farsi annullare la sentenza.
Subito dopo la condanna del Tassi, Orazio Gentileschi organizza per Artemisia un matrimonio riparatore con tale Pietrantonio Stiattesi giovane pittore fiorentino di scarso talento.
È il 1614 quando Artemisia si trasferirà con il marito a Firenze e l’arte diventerà (sebbene il matrimonio le darà la gioia di quattro figli ) la sua unica ragione di vita. Il marito vivrà alle sue spalle e Artemisia imparerà presto a bastare a se stessa attraverso la sua arte. Grazie al marito a Firenze l’artista entra in contatto con Michelangelo Buonarroti il Giovane che diventerà il suo più grande amico e la farà entrare nelle grazie del granduca Cosimo II de’ Medici e della moglie Cristina di Lorena.
Riuscirà in questo periodo anche ad entrare nella prestigiosa Accademia del Disegno di Firenze, accademia ad uso esclusivo degli uomini, lei sarà la prima donna a farne parte.
Artemisia è sempre più apprezzata come pittrice, ma i segni di quella violenza e del dolore provato, la trasformano totalmente. Molte volte la sua arte con il tempo si era evoluta, cambiando radicalmente nel corso della carriera: nel periodo fiorentino si fa molto più elegante e meno violenta, gli anni di Venezia la porteranno ad avvicinarsi alla maniera dei grandi maestri che operarono in laguna, come il Tintoretto e il Veronese.
Nelle sue opere in questo periodo però, se possibile, c’è ancora più drammaticità, più enfasi, più trasporto; le tele ora partono da una base di nero e poi si squarciano in sprazzi di luce che illuminano i volti dei protagonisti rendendoli sempre più veri, umani; nei sui dipinti sembra di attraversare il dramma dei protagonisti che compongono la scena davanti ai nostri occhi.
Le figure femminili, sono a tratti durissime ma resteranno sempre di una sensualità disarmante. Sensualità penetrante riscontrata in un’opera che gli viene commissionata dall’amico Buonarroti, l’Allegoria dell’Inclinazione; opera oggi ancora presente nella Casa Museo Buonarroti di Firenze.
Realizzata intorno al 1615-1616 l’opera raffigura una figura di donna, con espressione sognante, labbra socchiuse, che tiene in mano una bussola magnetica puntata sulla stella polare che risplende sopra la sua testa. Gambe sinuose e ambrate, poggiano su soffici nuvole che slanciano la figura rendendola etera. Furono proprio quelle gambe così sensuali che Lionardo Buonarroti, nipote del committente, diede mandato di coprire nel 1684 perché troppo conturbanti.
L’opera di Artemisia continua, dipingerà tele straordinarie come: Minerva (1615), la Conversione della Maddalena (1616), Giuditta con la sua ancella (1618), Santa Caterina di Alessandria (1618-1619) solo per ricordarne alcune.
Nel 1620 realizza la seconda versione di Giuditta che decapita Oloferne (Firenze Galleria Degli Uffizi). Quest’opera gli viene commissionata da Cosimo II ma molto verosimilmente, Artemisia la realizza nella casa che prende in affitto di ritorno a Roma proprio intorno al 1620. Questa è probabilmente l’opera che all’epoca la fece conoscere in tutta Europa.
Ma di Giuditta che decapita Oloferne esiste una prima versione quella che, all’epoca nella quale fu realizzata, avrà destato sicuramente molto sconcerto, è la versione del 1613 che oggi si trova a Napoli al Museo di Capodimonte. Questa versione rispetto a quella di Firenze è sicuramente quella più cruda, più drammatica, più feroce poiché è quella che viene realizzata subito dopo l’abuso.
La prima versione di Giuditta che decapita Oloferne è una delle opere più celebri dell’artista e raffigura (come anche la seconda versione) una scena tratta dall'Antico Testamento dell'opera apocrifa di Giuditta e Oloferne, in cui Giuditta, una donna ebrea, decapita il generale assiro Oloferne per salvare il suo popolo dall'invasione nemica.
L'interpretazione di Artemisia è estremamente drammatica e realistica e lascia chiunque la ammiri, commosso, interdetto, esterrefatto.
Nel dipinto, vediamo Giuditta e la sua ancella Abra mentre decapitano Oloferne. La pittrice si sofferma sull’espressione concentrata e determinata di Giuditta mentre impugna il coltello, dando un senso di potere e autorità femminili che fino a quel momento nessuno era stato in grado di fare. Nemmeno l’opera Giuditta e Oloferne di Caravaggio (che Artemisia aveva visto trattandosi di un opera che il maestro aveva realizzato nel 1602) aveva avuto, nel volto della donna, la stessa intensa drammaticità emotiva espressa nella tela di Artemisia. Il sangue scorre copioso dalla ferita, creando un effetto altamente suggestivo: probabilmente un’emanazione della rabbia e della vendetta di Artemisia Gentileschi contro l’aggressione sessuale subita da parte del suo maestro. L’uso del chiaroscuro crea una forte enfasi sul dramma, gli effetti di luce e ombra riportano l’attenzione sulle espressioni del volto e sui dettagli anatomici delle due donne.
Un’opera iconica che continua a essere studiata e ammirata per la sua potente rappresentazione di una donna che si erge contro l’oppressione e la violenza. La figura di Giuditta diventa un simbolo di forza e giustizia, sia nell’ambito dell'opera d’arte che nella storia dell’artista che l'ha creata.
Artemisia continuerà a dipingere, diventerà la pittrice più desiderata dalle corti europee; trascorrerà gli ultimi anni della sua vita viaggiando, passando per Roma, Napoli e Londra, per poi tornare nella città partenopea dove morirà nel 1653.
I luoghi di Artemisia a Roma
Mini tour che potete organizzare
Le opere presenti a Roma sono pochissime due delle quali fanno parte di una collezione privata:
Madonna col Bambino, Galleria Spada, Roma, 1610-11.
Santa Cecilia, Galleria Spada, Roma, ca. 1620.
Aurora, Collezione privata, Roma.
Cleopatra, Collezione Privata, Roma, ca. 1633-35.
Luoghi fulcro della sua vita.
La casa in via della Croce dove cresce e dove subisce la violenza.
La chiesa di San Lorenzo in Lucina, dove viene battezzata il 10 luglio del 1593.
La chiesa di Santo Spirito in Sassia, dove si sposa con Pierantonio Stiattesi il 29 Novembre del 1612.
Sondaggino Recap …
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