Forse vi dobbiamo le nostre scuse: guardiamo oltre l’aura del museo e capiamo il motivo per cui, spesso, ci fa paura.
“Guardare oltre”, la Rubrica mensile su Miciporto, oggi fa un mea culpa: noi che lavoriamo con il patrimonio culturale abbiamo sbagliato qualcosa 🖼️📚
Ciao,
sei su Miciporto ma questa è Guardare oltre, la Rubrica mensile (o quasi) che cerca di andare oltre lo strato superficiale del settore artistico e culturale.
Io sono Eleonora Rebiscini, e mi trovi qui su Substack con Non è lavoro, una newsletter in cui racconto gioie e dolori di chi lavora nel settore culturale, dal mio punto di vista. Nella newsletter parlo di cose che mi appassionano, di cose che faccio per lavorare meglio, e di tutto quello che amo fare e disfare nella mia testa.
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Bene, adesso torniamo a questo articolo: come suggerisce il titolo della mail che stai leggendo, forse io, oggi, vi devo delle scuse. Ma partiamo dall’inizio.
Cosa succede quando varchi la soglia di un museo? 🏛

Se siete qui su Miciporto significa che amate l’arte e la cultura, molto probabilmente visitate musei, siti archeologici, città d’arte, e sicuramente lo avrete fatto almeno una volta con una delle guide di Isabella.
Insomma, voi siete già un pubblico che in gergo si definisce caldo: noi professionisti del settore non dobbiamo competere con la partita di calcio della domenica per farvi venire al museo, non dobbiamo competere con il manifesto dell’ultimo film al cinema nella pensilina dell’autobus, più o meno sapete già quali sono i vostri gusti in termini di viaggi culturali e artistici.
Tutto questo succede anche grazie a figure come Isabella AKA Isamuko, che leggono libri, viaggiano, studiano (soprattutto, studiano), e secondo le loro modalità e mediazioni, espongono argomenti che si trovano sotto il grande cappello dell’espressione: racconto del patrimonio.
Ma cosa succede quando Isabella vi convince a entrare in mostra, e poi voi in mostra voi ci entrate per davvero?
La mostra è valida, la sua fruizione un po’ meno
Io di mostre ne ho viste parecchie, a volte ci ho lavorato pure: qualche anno fa come assistente alla curatela di un famoso museo romano, molto più recentemente con la mia agenzia di marketing e comunicazione per l’arte e la cultura. Non passa giorno in cui io non apprezzi l’artista (o gli artisti) e disprezzi almeno una parte della fruizione del percorso espositivo.
Il visitatore, quando entra in mostra, è spesso lasciato da solo.
Ma cerco di spiegarmi meglio.
Qui di seguito elencherò alcuni step che noto da visitatrice attenta, e che condivido con voi per guardare oltre il semplice quadro appeso al muro. Immaginatevi sdoppiati: da una parte ci siete voi, senza audioguida. Dall’altra ci siete sempre voi, ma nella vostra versione più volenterosa, ovvero con l’audioguida alle orecchie.
Cominciamo a immaginare questo percorso, partendo dalla prima sala.
Avete comprato il biglietto all’ingresso e ve lo hanno controllato, così varcate la soglia della la prima sala pieni di energie e con grandi aspettative: siete interessati, leggete tutte le didascalie, ponete grande attenzione al pannello introduttivo di mostra. I più energici di voi hanno acquistato un’audioguida e cominciano il percorso.
La vostra attenzione è alle stelle: leggete il pannello introduttivo, fate attenzione alle didascalie, vi concentrate nella visione dei quadri di fronte a voi. Se avete acquistato anche l’audioguida, vi sentite ancora più concentrati, e questo è un bene: quando riuscirete ad ascoltare la voce narrante, vi sentirete parte di un mondo che vi sembra spesso inaccessibile.
Siete alla seconda sala, nella versione di voi senza audioguida. Avete sempre il pannello introduttivo alla vostra destra, ma vi ponete una sfida: vediamo se riesco a capire l’opera senza leggerne la spiegazione. Ci provate, e cominciate a capire che lo sforzo è notevole. Nella versione di voi con audioguida invece procedete alla grande, ogni tanto però cominciate a distrarvi, perché tenere l’attenzione alta è comunque costoso in termini energetici.
Arrivate alla terza sala e cominciate a distrarvi un po’, soprattutto senza il vostro accompagnamento audio. Certo, se i fari che illuminano i quadri non fossero puntati così direttamente sulle tele , forse potreste anche concentrarvi sul particolare del volto di quest’opera in cui c’è scritto, in didascalia, che è considerata il manifesto della corrente pittorica a cui appartiene. Ma la luce vi da un po’ fastidio, le gambe cominciano a cedervi e forse quell’invito a vedere il film al cinema non vi sembra più così male… Nella vostra versione con audioguida invece l’attenzione è ancora alta, però certo se ci fosse una sedia per riposarsi un momento non sarebbe male, anche per guardare il quadro enorme di fronte a voi. O no?
Ci siamo, è quasi finita, forza! Non avete l’audioguida, ormai il pannello dedicato alla quarta sala lo saltate a piè pari, ne avete abbastanza. Le opere sono bellissime, impossibile pensare il contrario: sicuramente avranno tanto da raccontarvi, perché lo sapete, in fondo, che è così. Se sono state fatte arrivare da tutta Europa ci sarà un motivo, e forse siete voi che non riuscite a vederlo perché non siete all’altezza. Eppure le didascalie sono scritte piccole, e voi, comunque, non avete trovato neppure un divanetto libero per sedervi. Nella vostra versione più volenterosa invece (quella con audioguida, ovvio) siete riusciti ad ascoltare tutti i canali, vi siete fermati un momento sul divanetto (l’avete trovato finalmente) e siete giunti all’ultima sala. Ma a un certo punto qualcosa non vi torna, vi siete resi conto di non aver ascoltato tutto quello che dovevate. Non vorrete lasciare mica 16€ al museo e non aver ascoltato tutto fino alla fine, no? Dovrete uscire dal museo, come persone migliori, non c’è scampo…
Finalmente, l’uscita! Non sembra vero, ma ne siete usciti vivi: avete un frullatore in testa, le informazioni che avete recepito cominciano a mischiarsi fra loro e avete anche una certa arsura. E tutto questo, a volte, è coronato da un pensiero che vorremmo scacciare, ma che ci bussa alla spalla: Ma forse, io, non sono la persona adatta per questo genere di cose.
Come diceva un grande storico dell’arte qualche anno fa:
La gente di solito va nei musei e guarda quattrocento quadri in un’ora e mezza. Torna con dei piedi gonfi così e va alla ricerca di una Coca-Cola tiepida per dimenticare l’esperimento. I luoghi dove stanno i quadri si chiamano pinacoteche, come esistono i luoghi dove stanno i libri che si chiamano biblioteche. Nessuno va in biblioteca e legge tutti i libri. Uno che va in una pinacoteca, in un museo, dovrebbe andare a vedere due quadri. All’inizio, a mio parere, addirittura uno solo. Quello che l’ha fatto il quadro spesso ci ha messo due anni a farlo. O anche due mesi a farlo… Cosa mi dà il diritto a me di guardarlo in venticinque secondi? Quando erano in Chiesa, la gente li vedeva da quando nasceva a quando moriva: tutta la vita. E adesso deve vederlo in un minuto mentre stai correndo al quadro prossimo?
Philippe Daverio (1949-2020)
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Quello che ti capita di pensare non è quello a cui devi credere per forza
Cosa è successo, quindi, in questo percorso del visitatore?
La stanchezza ha preso il sopravvento a metà visita a causa dell’assenza di stimoli sensoriali atti a mantenere alta l’attenzione, all’uscita invece si è stati pervasi da un lieve senso di colpa misto a senso di inferiorità, perché si è consapevoli che non si è recepito tutto quello che si poteva.
Pensare di non essere all’altezza di qualcosa o qualcuno è tipico di ognuno di noi, ci è capitato almeno una volta nella vita.
Ma lasciate che vi dica una cosa: se nella vita vi è capitato di non sentirvi all’altezza di fronte a una guida turistica o mediatrice culturale che vi raccontava la storia di un dipinto, o se siete usciti da un museo pensando che quello che avevate visto era troppo difficile per voi, non era colpa vostra, era nostra.
La storia dietro una mostra è fatta di molte professionalità, non tutte competenti come si dovrebbe, ma questo succede in tutti i settori.
Quello per cui sono qui, oggi, è farvi vedere cosa succede dietro le quinte: dietro le quinte ci sono curatori o curatrici che spesso fanno l’errore di credere che l’obiettivo della mostra sia trasformare un visitatore in un piccolo storico dell’arte. E questa non è la cosa peggiore: la cosa peggiore è quando capita il curatore o la curatrice che al visitatore non pensa proprio, ma trasforma la sua (corsivo fortemente voluto) mostra in un esercizio di stile fine a sé stesso, accoppiando opere e coniugando temi che tendono a voler dimostrare qualcosa, piuttosto che mostrare.
Aggiungo una cosa, che non si dice spesso: quando visitate una mostra è assolutamente fisiologico che siate stanchi.
Concedetemi, per un momento, lo spiegone accademico, che vi permetterà di contestualizzare meglio tutto ciò che ho scritto fino a ora 👇🏾
Secondo Francesco Antinucci, esperto di museologia e psicologia cognitiva, esistono due modalità operative del nostro apparato cognitivo:
Sistema simbolico-ricostruttivo: richiede la decodifica di simboli e la loro rielaborazione mentale, un processo che necessita di attenzione concentrata e può risultare faticoso.
Sistema sensomotorio: opera in gran parte a livello inconscio, è rapido e non richiede particolare attenzione o concentrazione, risultando meno affaticante per la mente.
Questa distinzione suggerisce che il nostro cervello può mantenere l’attenzione attiva per periodi limitati quando coinvolto in attività simbolico-ricostruttive, mentre le attività sensomotorie possono essere sostenute più a lungo senza affaticamento significativo.
Fonte: https://www.agranelli.net/DIR_rassegna/ART_blog_Nova_dossier.pdf
Ci sono diversi obiettivi da raggiungere quando si realizza una mostra, sintetizzando al massimo potremmo però dire che bisogna sempre creare dei momenti, durante il percorso, in cui l’attenzione si “risveglia” dopo fisiologici momenti di assopimento. Bisogna lavorare su un processo di interpretazione del dato storico artistico, utile per chi, di quel determinato argomento, non capisce niente (cioè il visitatore normale, non quello laureato in storia dell’arte).
Non sei tu, siamo noi: 3 libri che possono aiutarti a comprenderci meglio (e a comprendere alcune dinamiche in cui ti sei trovata/o)
Questo articolo non sarebbe stato scritto se non avessi letto recentemente un libro molto importante per chi è del settore, e che tolgo dalla lista perché è giusto dargli uno spazio suo:
Perché non parli? Come raccontare il patrimonio culturale, Giovanni Carrada, edito da Johan and Levi, 2025
Ne ho parlato su Instagram qui 👇🏾
Ecco invece 3 libri che ti aiutano a comprendere perché siamo così affascinati dal museo, ma spesso ne usciamo delusi:
Adalgisa Lugli, Museologia, edito da Jaca Book
Francesco Antinucci, Comunicare nel museo, edito da Edizioni Laterza
Rachele Ferrario, Regina di quadri. Vita e passioni di Palma Bucarelli, edito da Mondadori.
Vi ringrazio per aver letto fin qui. Da questi libri che vi ho consigliato, ai quali sono molto affezionata, è nata l’ispirazione ma soprattutto la necessità di scrivere questo articolo. Ne troverete altri su Non è lavoro e Hubove Studio.
Eleonora Rebiscini (IG: @eleonorarebiscini)
Grazie per queste parole che finalmente mi hanno fatto capire che non si è fuori posto quando si va a vedere una mostra con entusiasmo e se ne esce frastornati e col senso di inadeguatezza che ti fa ricredere sulla tua possibilità di poterti avvicinare all'arte da profana!
Grazie
Grazie davvero per quest’articolo, mi capita spesso di provare un senso di frustrazione quando esco da un museo e non sono riuscita a vedere tutte le opere, o quando magari ci sono riuscita ma mi rendo conto che le ultime stanze le ho viste di corsa, desiderando fortemente di finire il giro il prima possibile. Aggiungo che anche l’affollamento di certi musei non aiuta, se per vedere un quadro devo prima sgomitare o non posso soffermarmi con calma senza avere qualcuno che mi alita sul collo la mia esperienza non migliora.